D’altra parte la parola «proprio» continua ad avere un senso conforme a quello aristotelico nelle frasi come: «È proprio degli sciocchi il meravigliarsi fuor di proposito», - «Le rire est le propre de l’homme», ecc.
Se l’esempio di cui ci siamo sinora occupati serve a mettere in luce la tendenza che hanno i termini tecnici della filosofia a perdere il senso attribuito ad essi da chi li introdusse, rendendo necessaria, ai successivi filosofi che si occuparono delle stesse questioni, la introduzione di sempre nuove designazioni per esprimere gli stessi fatti e le stesse distinzioni, l’altro esempio particolare, al quale ora passeremo, è adatto invece a mostrare come, anche nell’opera di uno stesso filosofo, occorra por mente a non scambiare per mutamenti di opinione, o per l’adozione di nuove vedute, ciò che è solo la sostituzione di una forma d’espressione o di rappresentazione ad un’altra, o l’introduzione di un modo più conciso o più efficace di esprimere qualche concetto o distinzione già prima enunciata dal filosofo stesso in termini diversi.
Tale esempio ci è fornito dai diversi modi che si trovano impiegati nei dialoghi di Platone per indicare la distinzione espressa dai logici moderni coll’opporre la «comprensione» (connotation, Umfang) di un termine generale alla sua «estensione» (denotation, Inhalt).
Tra i passi nei quali Platone afferma nel modo più energico che l’addurre esempi di casi o di oggetti, ai quali un dato nome è applicabile, non equivale a determinare il significato del nome stesso - per quanto possa essere un mezzo efficace per giungere a tale scopo - sono da porre, com’è naturale, quei passi nei quali, come ad esempio nel Teeteto, 146 D- 147 B e nel Menone, 72 E, l’importanza di tale distinzione è sostenuta da Socrate contro interlocutori che ricusano o trascurano di tenerne conto in qualche particolare questione.
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