Pel fatto di prefiggersi, nello stesso tempo, l’esame della portata filosofica delle più recenti teorie e ipotesi scientifiche e la determinazione del contenuto «positivo» e concreto delle formule in cui esse trovano espressione, e pel fatto di concepire questi due scopi non solo come connessi ma in certo modo come coincidenti, l’opera dell’Enriques si riattacca anche intimamente a quel nuovo indirizzo di studi filosofici che, qualunque sia il nome adottato per esso, - lo si chiami «positivismo critico», come quasi vorrebbe l’Enriques, o «pragmatismo» come altri preferirebbero, o comunque altrimenti, purché ci si intenda e, soprattutto, purché non ci si fraintenda -, tende a far assumere al pensiero contemporaneo un’attitudine tutta nuova di fronte ai problemi così detti «metafisici», un’attitudine che con nessun’altra si trova tanto in contrasto quanto con quella di disinteressamento agnostico assunta dalla maggior parte dei positivisti.
In nessun punto dell’esposizione dell’Enriques questo carattere antiagnostico si presenta così chiaramente come in quei capitoli dell’introduzione che sono dedicati a un confronto tra i così detti problemi insolubili della geometria e della meccanica (la quadratura del circolo, il moto perpetuo, ecc.) e quelli tra i problemi della teoria della conoscenza che sono qualificati come insolubili dai positivisti e dagli agnostici, e a porre in contrasto la tattica seguita di fronte ad essi rispettivamente dagli scienziati e dai filosofi.
Una prima distinzione importante che egli considera a tale riguardo è quella tra i problemi la cui insolubilità dipende dalla limitazione artificiale che, per qualunque motivo o fine, lo scienziato impone a se stesso nella scelta dei mezzi da porre in opera per la loro soluzione (tale, ad esempio, il caso del geometra che si propone di risolvere un dato problema coll’impiego della sola riga o del solo compasso), e i problemi invece la cui insolubilità non dipende affatto da alcuna limitazione di questo genere.
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