Tra questi ultimi egli considera in particolare quelli la cui insolubilità dipende da ciò: che nella loro enunciazione è presupposto come possibile ed esauribile qualche procedimento, implicante l’esecuzione di un numero infinito di operazioni o di processi successivamente eseguibili (tale sarebbe ad esempio il problema di inscrivere in una circonferenza il poligono regolare di massimo numero di lati).
Accanto a questa specie di problemi, che l’Enriques chiama «trascendenti» per analogia coll’uso che si fa di questa parola dai matematici nella teoria delle funzioni, se ne presenta un’altra: quella dei problemi la cui insolubilità dipende dal fatto che la loro soluzione implicherebbe il simultaneo verificarsi di condizioni direttamente o indirettamente contraddittorie l’una all’altra. Tale sarebbe il caso, ad esempio, in geometria se si domandasse di costruire un poliedro regolare di dieci facce.
Una terza specie di problemi insolubili è costituita da quelli che l’Enriques chiama «problemi dell’assoluto». Il carattere di questi viene da lui chiarito ricorrendo all’esempio della questione meccanica del «moto assoluto». Poiché per moto di un corpo non si intende altro che il cambiamento di posizione di esso rispetto ad altri, qualunque affermazione in cui si parli del moto d’un corpo dovrà, per aver senso, riferirsi, in modo esplicito o implicito, a qualche particolare sistema di corpi rispetto ai quali tale cambiamento di posizione si verifichi. Parlare quindi del moto d’un corpo come di qualche «stato» o proprietà che riguarda lui solo, o andar cercando criteri per distinguere i moti «apparenti» e «relativi» da un preteso moto «reale» e «assoluto», è proporsi un problema perfettamente assurdo e privo di significato.
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