Questa tendenza a far coincidere in certo modo la distinzione tra la ricerca delle cause e quella delle somiglianze con la distinzione tra l’esperimento e la semplice osservazione, non può a meno che riuscire simpatica a quelli tra i cultori di studi filosofici, che, come i pragmatisti, concepiscono la ricerca delle cause come non differente dalla ricerca dei mezzi atti a provocare o a impedire dati fatti.
A me pare tuttavia che le affermazioni dell’autore a questo proposito siano da assoggettare a qualche critica e non siano da accettare senza qualche riserva. Più d’una fra esse suggerisce, indipendentemente forse anche dalle intenzioni dell’autore, l’idea che all’esperimento, inteso nel senso visto sopra, sia da attribuire, come mezzo di classificazione o di determinazione delle somiglianze o differenze tra ciò che si classifica, meno importanza che non all’osservazione propriamente detta.
Ora, non soltanto in biologia ma anche in chimica e in fisica, e in ogni altro ramo di ricerca scientifica, le proprietà più importanti come criterio di classificazione, quelle di cui è più opportuno far uso per costruire e delimitare le varie specie o gruppi di oggetti o di fatti che si considerano, non sono, come del resto avverte anche l’autore, né esclusivamente né principalmente quelle che sono accessibili all’osservazione immediata, non accompagnata da alcun intervento attivo dell’osservatore, che ne provochi la comparsa. Quelli stessi che noi chiamiamo strumenti d’osservazione, a cominciare dai più semplici quali la bilancia o il termometro, in quanto sono dei mezzi per indurre o costringere i corpi a produrre degli effetti che non si manifesterebbero spontaneamente, e la cui produzione dipende da certe nostre determinate operazioni su essi (trasporti, contatti, immersioni, ecc.
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