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      ), possono qualificarsi come dei veri e propri strumenti di esperimentazione nel senso più stretto della parola. Non si può dubitare che, se la divisione del lavoro non esigesse la separazione tra chi costruisce, per esempio, un barometro e chi se ne serve, - più ancora, se lo strumento fosse tale da dovere essere costruito ogni volta che lo si adopera per una nuova «osservazione» -, nessuno esiterebbe a qualificare il suo impiego come un «esperimento».
      Anche la distinzione fra strumenti che servono a mettere a nostra portata fatti che già esistono (per esempio un telescopio o un corno acustico) e strumenti che producono essi stessi i fatti che osserviamo, non mi pare sia da prendere troppo alla lettera. La maggior parte dei fatti, che noi diciamo esistere, esistono infatti soltanto nel senso che noi li aspettiamo o crediamo di poterli realizzare in date circostanze: così la maggior parte di quelle che noi chiamiamo proprietà di un corpo, per esempio la sua durezza, la sua massa, la sua elasticità, ecc., si riferiscono, non a degli aspetti del corpo direttamente osservabili, ma a delle reazioni a cui i corpi stessi danno luogo quando siano sottoposti a un dato «trattamento».
      Perfino quel processo, comparativo per eccellenza, che è quello di misura, o di ricerca delle dimensioni di un corpo, consiste, assai più che in un riconoscimento di somiglianza o di differenze, nell’esecuzione di operazioni sui corpi da misurare e sulle unità di misura: operazioni che, quando si voglia raggiungere una certa esattezza, possono anche diventare assai complicate, come è il caso, per esempio, per le misurazioni geodetiche.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483