È appunto uno dei caratteri più generali del progresso scientifico la tendenza a sostituire, alle classificazioni basate sulle somiglianze o differenze esteriori e più immediatamente apparenti degli oggetti o dei processi studiati, altre riferenti si invece a somiglianze o differenze che si manifestano soltanto quando essi vengano assoggettati a determinate operazioni e obbligati ad agire o reagire in circostanze artificialmente prodotte.
A questa tendenza, che si è manifestata finora soprattutto nelle scienze fisiche e chimiche, non vi è ragione di credere che debbano o possano sottrarsi anche le scienze biologiche. È a questo riguardo che non mi sembra facilmente giustificabile la separazione, che l’autore vorrebbe che si accentuasse, tra i rami della biologia il cui compito immediato è la comparazione e la classificazione degli organismi e quelli il cui oggetto è lo studio sperimentale dei vari modi di comportarsi o trasformarsi di questi in corrispondenza a dati stimoli o a date condizioni esteriori.
Dal momento cioè che l’azione, o l’intervento dello scienziato nella produzione dei fatti che studia, ha una parte non meno importante in quella che si può chiamare la fase descrittiva, o classificatoria, della ricerca, di quanto ne abbia nella fase in cui si indagano le cause e le spiegazioni, non mi sembra che la presenza o l’assenza di tale intervento possa costituire un carattere differenziale su cui basare una distinzione tra i vari rami di ricerca scientifica che si riferiscono ad uno stesso soggetto.
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