Tra le ragioni addotte dall’autore in favore della distinzione tra le parti della biologia che hanno un compito puramente classificatorio e le parti a cui egli riserva l’epiteto di sperimentali, ve n’è una sulla quale egli insiste in modo particolare e che egli formula dicendo che, per quanto riguarda le questioni di dipendenza genealogica e le ipotesi sulla trasformazione delle specie, la semplice osservazione e comparazione dei fatti non ci permette che delle congetture più o meno probabili, mentre le conclusioni più sicure possono essere raggiunte soltanto col ricorso alla «sanzione sperimentale».
Anche qui pare a me che l’esame di quanto avviene in altri campi di ricerca scientifica non tenda a confermare l’opinione dell’autore.
L’astronomia, per esempio, che per l’attendibilità e la precisione delle sue previsioni rappresenta quasi il tipo delle scienze che arrivano a conclusioni sicure, non deve certo tale sua prerogativa all’esperimento, inteso nel senso ordinario e in quello che l’autore dà a tale parola.
Se poi invece si volesse estendere, con Cl. Bernard o con St. Jevons, il concetto stesso di esperimento facendolo coincidere con quello di un processo nel quale l’osservazione sia preceduta da elaborazioni deduttive, o da ipotesi anticipatrici, tra le quali i fatti sono chiamati a fungere da arbitri o da mezzi di eliminazione, si potrà certamente allora qualificare anche l’astronomia come una scienza sperimentale, ma si dovrà nello stesso tempo riconoscere il carattere sperimentale della maggior parte delle scienze così dette «comparate», dall’anatomia alla glottologia, in quanto anche in queste si presenta continuamente il caso di ricerche dirette e organizzate allo scopo di avere una riprova, o una verifica, di qualche teoria o ipotesi suggerita dalla comparazione tra fatti antecedentemente osservati.
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