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Allo scopo di eliminare l’equivoco a cui ci siamo riferiti in precedenza, si insiste innanzitutto sulla distinzione che è indispensabile fare quando si parla di «conseguenze di una teoria», tra le conseguenze in senso logico, cioè le conclusioni che si possono trarre per deduzione, e le conseguenze che si potrebbero chiamare psicologiche, cioè gli effetti che derivano, o si presume che derivino, dalla sua accettazione da parte nostra o di altri.
La tesi sostenuta da Calderoni è che quando si parla di «senso» di una teoria, senza confonderlo con la sua «importanza» o il suo «interesse», si possono considerare solo le conseguenze nella prima di queste due accezioni; e quando alla parola «conseguenze» si aggiunge l’epiteto di «pratiche» è solo allo scopo di prevenire l’obbiezione, assai naturale, che, per essere le stesse conclusioni, mediante le quali si pretende di determinare il senso di una teoria o di una affermazione qualsiasi, delle mere affermazioni, non se ne potrebbe determinare il senso altrimenti che applicando loro lo stesso procedimento, e così via all’infinito.
Parlando di conseguenze «pratiche», si vuole semplicemente indicare che tra le conseguenze che si possono dedurre da una teoria o da una affermazione ve ne sono alcune (ed è indispensabile che ve ne siano se la teoria in questione non è priva di «senso») che si riferiscono a qualche fatto particolare (pràghea) e alla nostra aspettativa che questo fatto avrà luogo, o avrebbe luogo, in particolari circostanze date.
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Calderoni
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