D’altra parte ciò per loro non equivale a qualificarlo come problema di scarsa importanza o inutile a porsi. Infatti in tal caso la differenza tra le parti in causa può consistere nel rifiuto di una di esse di spingere oltre un certo punto l’analisi del significato di qualche parola di cui reclama il diritto di far uso, o in un minor grado di consapevolezza della possibilità e del vantaggio di far avanzare tale analisi oltre il punto a cui si arresta il «senso comune». Com’è naturale, in questo caso è la tendenza a spingere l’analisi più lontano quella che viene considerata dai pragmatisti come loro alleata e cooperatrice.
È in tal modo che nelle controversie sulle nozioni di sostanza e causa essi si schierano completamente dalla parte di Berkeley e Hume e degli psicologi contemporanei che (come ad esempio Ernst Mach e Julius Pikler e, tra gli italiani, C. Guastella)(106) possono essere considerati come loro successori nello stesso ordine di ricerche. Nella controversia scolastica tra realisti e nominalisti si sarebbero trovati a fianco di questi ultimi.
In effetti hanno in comune con loro la diffidenza e l’avversione per ogni sorta di generalità vaga o astrazione vuota e la tendenza a vedere nelle teorie o nelle concezioni astratte semplicemente dei mezzi o simboli per esprimere o rappresentare fatti concreti e particolari. La lotta intrapresa dai nominalisti contro gli universali si presenta in un certo senso come un caso particolare di quella che i pragmatisti conducono contro l’abuso delle frasi che si costruiscono con essi.
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