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      La distinzione tra azioni volontarie e involontarie ha dunque non solo un senso, ma anche un’importanza sociale di prim’ordine, al di qua (o al di là) di ogni discussione metafisica.
      E lo stesso si deve dire dell’altra distinzione che ne risulta tra i trasgressori volontari delle leggi e coloro che, come i pazzi o i malati, dal loro stato fisiologico o psicologico sono resi incapaci di reagire sotto l’influenza dei motivi ordinari della condotta, o di adattare le loro credenze e previsioni alle circostanze in cui agiscono.
      Nei due casi si potrà anche chiamare con lo stesso nome i mezzi che bisogna mettere all’opera per garantirsi dal pericolo delle azioni in oggetto, ma ciò non impedirà che la scelta di tali mezzi sia basata, nell’un caso e nell’altro, su criteri completamente diversi, cioè, nel caso dei pazzi e dei malati, sulla loro efficacia quali rimedi o precauzioni materiali contro il ripetersi di altri atti analoghi da parte della stessa persona; nell’altro caso, al contrario, soprattutto sulla loro attitudine a fungere da motivi che inducano all’osservazione della legge o da freni o contrappesi che esercitino un’azione inibitoria su coloro che, trovandosi in circostanze più o meno simili a quelle in cui si è trovato il delinquente che viene punito, potrebbero essere disposti a imitarlo se non dovessero temere una punizione.
      Ai deterministi che qualificano «ingiusta» ogni punizione «come tale», in quanto viene applicata ad individui che, proprio per aver trasgredito la legge, dimostrano di non potersi astenere dal violarla, Calderoni non si accontenta di opporre il vecchio argomento classico consistente nell’osservare che, se si ammette una tale interpretazione della dottrina determinista, non si dovrebbero neppure biasimare coloro che infliggono la punizione: infatti il biasimo non è che una sorta di punizione attenuata, che viene inflitta col preciso scopo di indurre altre persone a non agire come i primi.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





Calderoni