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      I moralisti utilitaristi non sembrano nemmeno sospettare la importanza della distinzione tra questo tipo di «utilità», che gli economisti chiamano utilità «totale», o complessiva, degli oggetti o delle azioni di ciascuna categoria considerata e quella che essi chiamano «utilità marginale» o differenziale, la quale non è altro che l’accrescimento dell’utilità «totale» che si verificherebbe in seguito ad un determinato accrescimento della quantità di oggetti o azioni della specie in esame. Essi hanno il torto di non accorgersi che, sia negli apprezzamenti morali come nella determinazione dei prezzi e del valore di scambio,(115) si deve e si tiene effettivamente conto di questo secondo tipo di utilità e non del primo.
      Azioni di un certo tipo possono essere utili o anche indispensabili alla vita sociale (tali sono, ad esempio, gli atti che garantiscono la conservazione della specie) e, allo stesso tempo, non aver bisogno di essere incoraggiati, poiché la loro produzione o frequenza è sufficientemente garantita da propensioni naturali. In questo caso l’utilità di tali azioni non sarà sufficiente a far attribuire loro un valore morale, proprio come l’utilità dell’acqua non basta a farle attribuire un valore di scambio quando se ne ha a disposizione una quantità sovrabbondante per gli usi ai quali si vuole adibirla.
      In altri termini, si lodano e si approvano solo le azioni che, nel caso non fossero lodate e approvate (o nel caso in cui la loro omissione non fosse punita), finirebbero col divenire più rare del necessario, ossia quelle azioni utili, tali che gli uomini disposti a compierle spontaneamente e indipendentemente da ogni speranza di ricompensa, o timore di pena o biasimo, sono abbastanza rari perché non si desideri che siano in numero ancora minore.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483