Tuttavia, come abbiamo già notato, non è solo ai moralisti della scuola utilitaristica che Calderoni rivolge il rimprovero di tralasciare ogni considerazione «quantitativa» nella costruzione dei loro sistemi etici. Al contrario, mentre le obbiezioni che egli solleva a questo proposito contro la dottrina utilitaristica possono, sino ad un certo punto, essere considerate come indicative delle direzioni in cui tale dottrina avrebbe bisogno di essere più completamente elaborata e precisata, il suo atteggiamento assume un carattere completamente differente nei confronti dei sistemi etici che, come quello di Kant, individuano il criterio stesso della moralità di una azione nella possibilità di «dedurla» o di «giustificarla» mediante una regola o principio che sia in grado di essere adottato in pari tempo da tutti gli uomini. Calderoni ritiene che questa concezione della morale sia nel contrasto più radicale e irriducibile con la sua tesi, la cui parte essenziale consiste, come si è visto, nell’affermare che in ogni giudizio o apprezzamento del valore morale di una azione non si può fare astrazione dalle circostanze che concorrono a darle il carattere di azione più o meno frequente rispetto alla «domanda» o al bisogno che se ne ha, più o meno suscettibile di essere compiuta sotto lo stimolo dei diversi motivi che influenzano la condotta degli uomini e avente, di conseguenza, un bisogno maggiore o minore di incoraggiamento da parte di motivi addizionali destinati a indurre al suo compimento l’eccessivo numero di persone che, per mancanza di inclinazione naturale o di educazione, non sarebbero disposte a compierla «spontaneamente».(116)
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Calderoni Kant
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