Non è necessario insistere molto per rilevare le connessioni intime che sussistono tra la concezione dell’etica di cui si è discorso e le speculazioni logiche e «pragmatistiche» di cui ci siamo occupati nella prima parte di questo articolo. Un tratto comune che le congiunge è rappresentato dalla aspirazione a stabilire una corrispondenza quanto più possibile esatta e rigorosa tra le teorie astratte e generali e i fatti particolari che esse hanno lo scopo di spiegare, ordinare, rappresentare.
In entrambi i casi si manifesta la stessa ripugnanza nei confronti delle formule vaghe e troppo generiche e la stessa disposizione a considerare i sistemi e le costruzioni speculative solo come mezzi o strumenti di previsione e d’azione.
Sarebbe errato concludere da ciò che le nuove concezioni filosofiche qui tratteggiate implichino una sottovalutazione o un disprezzo qualsiasi per la ricerca disinteressata della «verità».
Al contrario, ciò che maggiormente spinge i logici e i pragmatisti italiani a valorizzare le conseguenze pratiche e le applicazioni concrete delle differenti teorie, è proprio la loro convinzione della funzione importante ed essenziale che bisogna attribuire a queste conseguenze e a queste applicazioni come criteri e garanzie, non solo della verità, ma dello stesso significato delle teorie, e ciò, a maggior ragione, quanto più queste teorie sono astratte e apparentemente lontane dalla realtà vivente.
Pur essendo disposti ad ammettere con l’autore del Novum Organum, che, in un certo senso (che non è il senso volgare), «ipsissimae res sunt veritas et utilitas», non omettono di aggiungere assieme a lui che «opera ipsa pluris facienda sunt quatenus sunt veritatis pignora quam propter vitae commoda».(117)
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Novum Organum
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