Un fatto spesso notato dagli storici della cultura è questo: che, nei vari rami di indagine scientifica, molte tra le scoperte più decisive e importanti, quelle in particolare che hanno aperto orizzonti inaspettati, o introdotto cambiamenti radicali nei metodi e nei criteri, dovettero il primo impulso a ricercatori non professionalmente impegnati nell’ordine di studi a cui esse si riferivano. Tra le varie circostanze che possono contribuire alla spiegazione di questo fatto mi pare sia anche da porre l’effetto inibitorio che sugli scienziati di professione è esercitato dalla paura di sbagliare o di esporsi al rischio di perdere il prestigio e l’autorità di cui godono - di cui essi sentono il dovere di godere. Viene per tal ragione troppo spesso a mancare ad essi ogni audacia e ogni impulso ad allontanarsi dalle vie battute; impulso ed audacia che, se anche espongono al pericolo di delusioni e d’inganni, sono pure d’altra parte elementi e fattori indispensabili di ogni progresso scientifico. Di ciò non mi pare si sia, per esempio, tenuto abbastanza conto dagli avversari del Trombetti, nelle recenti polemiche sul valore dell’opera sua. Gli si è fatta una colpa d’aver promesso più di quanto poteva mantenere, come se ciò potesse diminuire il valore di ciò che egli ha mantenuto, o di ciò che egli si è messo in grado di mantenere, in virtù appunto di quelle speranze ed illusioni che gli vengono rimproverate. Uno scopritore può talvolta aver tanto ragione di vantarsi dei suoi errori come un veterano delle sue ferite: sono i segni del suo coraggio e dei rischi che ha affrontati.
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Trombetti
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