Il riconoscere una tale differenza equivale ad ammettere implicitamente che la speciale efficacia dell’algebra, come mezzo di espressione e come strumento di ricerca e di dimostrazione, è da attribuire, non tanto all’impiego che in essa si fa di simboli, o di segni ideografici, al posto delle parole del linguaggio ordinario, quanto piuttosto a delle particolarità di indole «sintattica», inerenti al modo in cui essa li impiega.
Esaminare in che cosa precisamente consistano tali particolarità del linguaggio algebrico, ricercare quali, tra esse, corrispondano a caratteri che si riscontrano, in maggiore o minor grado, nelle lingue propriamente dette: queste, e le altre questioni che ad esse si connettono, mi sembrano bene degne di interessare, non soltanto chi si proponga di analizzare i procedimenti logici adoperati nelle scienze matematiche, ma anche chi abbia per mira lo studio comparato dei linguaggi e delle loro diverse forme e strutture.
Tra le distinzioni, che si trovano applicate allo studio grammaticale e sintattico delle lingue, le prime che si presentano sono quelle che si riferiscono alla classificazione e all’ufficio delle diverse parti del discorso.
Una frase spesso ripetuta dai linguisti,(121) - colla quale essi tentano di precisare ciò che costituisce il tratto caratteristico di un vero « linguaggio », in opposizione alle forme meno perfette di espressione istintiva di stati d’animo, quali si riscontrano anche negli stadi inferiori di sviluppo della vita animale -, è la seguente: «Il linguaggio comincia dove le interiezioni finiscono».
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