Pagina (385/483)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      L’affermazione riferita sopra equivale, dunque, a dire che il «vero linguaggio» comincia con la prima introduzione di parole che, prese per se stesse, non hanno alcun significato, e che di tanto un linguaggio è più perfetto, quanto più rilievo hanno in esso le parole che si trovano in questo caso, di fronte alle altre che, anche enunciate isolatamente, esprimono qualche opinione, o stato d’animo, di chi le pronuncia.
      Si ha una conferma di ciò nel fatto che le parole che hanno meno senso delle altre - quelle cioè alle quali è necessario aggiungere un più grande numero di altre parole per ottenere una frase che voglia dire qualche cosa - sono appunto quelle che compaiono più tardi, tanto nello sviluppo storico dei linguaggi, quanto nel processo individuale del loro apprendimento.
     
      Tra tali parole sono da porre, in primo luogo, le preposizioni, in quanto esse hanno l’ufficio di indicare le varie specie di relazioni che possono sussistere tra gli oggetti di cui si parla. Esse infatti, appunto per questa ragione, non indicano assolutamente nulla se non sono accompagnate dalle parole che denotano gli oggetti tra i quali si asserisce aver luogo la relazione che ad esse corrisponde.
      Così, quando pronunciamo, per esempio, le parole: «accanto», «sopra», «dopo», ecc., senza indicare quali siano le cose di cui intendiamo affermare che l’una è «accanto» all’altra, «sopra» l’altra, ecc., noi non comunichiamo a chi ci ascolta alcuna determinata informazione sulle cose di cui parliamo.
     
      A considerazioni analoghe si presta il confronto delle varie specie di verbi e, in particolare, la distinzione espressa comunemente con l’opporre i verbi «transitivi» ai verbi «intransitivi», - col porre in contrasto, cioè, i verbi che, come per esempio: «desidero», «respingo», «nascondo», «indico», ecc., richiedono che alla loro enunciazione segua l’indicazione di qualche «oggetto» al quale si riferiscono, coi verbi che invece, come per esempio: «dormo», «cresco», «rido», «muoio», ecc., non hanno bisogno di alcuna ulteriore determinazione o specificazione di tal genere.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483