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      Anche tra essi infatti ve ne sono di quelli la cui applicazione a una data persona, o oggetto, richiede, per significare qualche cosa, che si faccia seguire ad essi il nome di qualche altra persona od oggetto. Non significherebbe nulla per esempio il dire di qualcheduno che è un «coetaneo» o un «compaesano» senza aggiungere di chi; o dire di un oggetto, o di un fatto, che è «maggiore» o «posteriore» senza aggiungere di quale altro oggetto o a quale altro fatto.
      Tra i nomi, o aggettivi, di questa specie, e i nomi che ad essi occorre far seguire, la nostra lingua usa ordinariamente interporre una preposizione. Ma non mancano altre lingue nelle quali basta, in tal caso, che le due parole siano messe una di seguito all’altra in un ordine determinato. Per quanto interessa il nostro soggetto non è da fare alcuna distinzione fra l’un caso e l’altro.
      Questo carattere, per così dire «transitivo», di certi nomi come quelli che abbiamo sopra citati, è ordinariamente indicato col qualificarli come nomi «relativi».
      Della connessione tra i nomi «relativi» e i verbi transitivi si ha una chiara manifestazione anche nella possibilità, frequentissima, di tradurre frasi, in cui a un dato oggetto, o persona, è applicato un nome esprimente una relazione, in altre frasi, equivalenti, nelle quali figura invece un verbo transitivo. Non vi è, per esempio, differenza tra il significato delle frasi: «il tale è nemico del tale altro», o «il tale oggetto è più alto del tale altro», e le altre: «la tal persona odia la tal altra», o «il tale oggetto supera, o sopravanza, il tale altro», ecc.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483