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      Potrebbe sembrare a prima vista che ai segni di eguaglianza e di diseguaglianza spetti, nelle formule algebriche, piuttosto che l’ufficio proprio di verbi transitivi, quello di una semplice «copula», e che essi corrispondano più propriamente alle parole «è» o «non è» del linguaggio ordinario.
      Per vedere chiaramente in quale senso, e fino a che punto, ciò si possa ammettere, è necessaria qualche osservazione preliminare su quelli dei segni dell’algebra che corrispondono ai nomi che abbiamo indicato sopra come «relativi».
      Tra questi sono da considerare in primo luogo i segni di operazione, come +, X, —, ecc., i quali, appunto come quei nomi relativi che sono stati qualificati sopra come «bivalenti», esigono l’indicazione di due oggetti, o quantità (poco importa se queste siano rappresentate da numeri determinati, o da lettere rappresentanti numeri qualunque, o da intere «espressioni algebriche»), sulle quali l’operazione s’intende venga eseguita.
      Le espressioni come a + b, a X b, a — b, equivalendo alle frasi: «la somma di a con b», «il prodotto di a per b», «la differenza tra a e b», ecc., non differiscono per la loro struttura sintattica dalle espressioni che il linguaggio ordinario costruisce per mezzo di nomi relativi «bivalenti», come per esempio: «l’urto di un corpo con un altro», «il disprezzo di una persona per un’altra», «la distanza tra un punto e un altro», ecc.
      Non meno importanza tuttavia dei segni di operazione hanno in algebra anche i segni che corrispondono ai nomi «semplicemente relativi», o «univalenti», del linguaggio ordinario.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483