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      Qualunque sia del resto il nome col quale si vogliano distinguere quei verbi transitivi che godono della speciale proprietà di cui parliamo, sta il fatto che, mentre di essi si trova un numero più o meno grande in ogni linguaggio, il linguaggio algebrico ha questo di speciale, che, in esso, tutti i segni che hanno ufficio di verbi godono di questa proprietà.
     
      L’assioma che: «due quantità uguali a una terza sono uguali fra di loro», e gli altri analoghi per il caso della diseguaglianza, possono a questo riguardo essere considerati come le regole specifiche fondamentali della grammatica dell’algebra, per quanto concerne l’uso dei verbi.
      A concepire gli assiomi dell’algebra sotto questo aspetto i matematici si trovano sempre più indotti dalla estensione che va prendendo il dominio dell’algebra, e dalla conseguente tendenza ad assegnare a tali assiomi, non tanto l’ufficio di segnalare le proprietà di cui effettivamente godono determinate relazioni tra quantità o tra numeri, quanto piuttosto quello di indicare le proprietà di cui deve godere, e di cui basta che goda, qualunque relazione, perché diventi possibile estendere ad essa, e ai soggetti ai quali si riferisce, i vantaggi di una trattazione algebrica.
      Si riconnette a questa concezione la libertà, che i matematici si concedono sempre più largamente, di servirsi dello stesso segno di uguaglianza per indicare una quantità di altre relazioni oltre quella della coincidenza tra i valori numerici di due espressioni: libertà che sembra giustificare la definizione che è stata data recentemente della matematica (dal Poincaré), come l’arte di dare lo stesso nome a cose differenti.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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