Gli equivoci, che potrebbero derivare dall’applicare lo stesso segno di uguaglianza per esprimere relazioni così diverse fra loro, si evitano in algebra con lo stabilire, in corrispondenza a ciascuna diversa categoria di grandezze o di enti geometrici che si considerano, quale sia la speciale relazione che, ponendo fra esse il segno di eguaglianza, s’intende di esprimere.
È questa una delle principali ragioni dell’importanza che assumono nel linguaggio algebrico le così dette definizioni «condizionali» o «precedute da ipotesi».
Si indicano con tal nome le definizioni mediante le quali, a un dato segno di relazione o di funzione, è attribuito un senso solo «condizionatamente» o «limitatamente», solo, cioè, per il caso che esso compaia tra individui appartenenti a particolari classi, o soddisfacenti a particolari condizioni, come quando si dice, per esempio: Se A e B sono punti, indicheremo con AB il segmento di cui essi sono gli estremi; se a e b sono rette, intenderemo con a b il loro punto d’incontro, ecc.
Il ricorso alle definizioni condizionali, se basta a togliere il pericolo sopraccennato in tutti i casi nei quali le diverse relazioni, che si vogliono rappresentare con lo stesso segno di eguaglianza, hanno luogo tra quantità o enti geometrici appartenenti a diverse categorie, o soddisfacenti a diverse condizioni, si presenta d’altra parte come affatto insufficiente nei casi nei quali, invece, le diverse relazioni, che dovrebbero indicarsi con uno stesso segno, hanno luogo tra individui della medesima specie, o indicati da segni non distinguibili gli uni dagli altri.
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