Così, per esempio, per considerare un caso già accennato sopra, se il segno di uguaglianza si vuole adoperare per indicare quella relazione tra due figure che si indica ora ordinariamente col nome di «equivalenza» (cioè l’eguaglianza delle loro aree), resterà, per ciò solo, precluso il suo simultaneo impiego per esprimere qualsiasi altra relazione tra figure, come per esempio, quella di «eguaglianza» propriamente detta (o sovrapponibilità), quella di similitudine, ecc.
Gli inconvenienti ai quali, in casi di questo genere, potrebbe dare occasione l’impiego di uno stesso segno, per indicare relazioni affatto diverse, potrebbero essere evitati in algebra ricorrendo (come, infatti, qualche volta si fa) all’introduzione di nuovi segni che, accanto a quelli di eguaglianza e di diseguaglianza, assumessero l’ufficio che, nel linguaggio ordinario, spetta alle diverse specie di verbi transitivi.(125)
Il procedimento, tuttavia, più frequentemente seguito è un altro. Prima di passare a caratterizzarlo converrà accennare ai processi corrispondenti di cui ci fornisce esempio lo stesso linguaggio ordinario.
Tra i mezzi dei quali il linguaggio ordinario si serve per esprimere il risultato di confronti effettuati da diversi punti di vista, cioè col fissare l’attenzione successivamente su diverse qualità degli oggetti di una data specie, vi è quello di far seguire, all’affermazione di eguaglianza o diseguaglianza, il nome «astratto» della qualità rispetto alla quale gli oggetti in questione si asseriscono essere eguali e diseguali.
| |
|