Sui numerosi esempi che del suddetto genere di definizioni ci presentano i diversi rami della matematica e le varie scienze nelle quali essi trovano applicazione, non è qui il caso di fermarsi.
Si presenta opportuno invece il domandarsi quali siano le condizioni da cui dipende l’applicabilità del procedimento descritto sopra; il domandarsi, cioè, in quali circostanze le «definizioni per astrazione» siano possibili, e in quali casi sia lecito, o conveniente, introdurre nuovi segni di funzione per mezzo di esse.
Ciò equivale a domandarsi quali siano le proprietà di cui deve essere dotata una relazione (o una corrispondenza) tra oggetti di una data classe perché il suo sussistere, tra due oggetti a e b di tale classe, possa venire espresso per mezzo di eguaglianze del tipo: f a= f b, ove del segno f non è data altra definizione oltre quella che risulta dal significato che si attribuisce alla formula suddetta.
Una condizione indispensabile per l’applicazione di un tale procedimento è, anzitutto, questa: che la relazione di cui si tratta abbia in comune colla relazione di «eguaglianza» la proprietà che, per il caso di quest’ultima, viene espressa dall’assioma: Se a è uguale a b, e b è uguale a c, anche a è uguale a c.
Se infatti questa condizione non si verificasse - se cioè la relazione in questione fosse tale che, dal suo sussistere tra due oggetti a e b, e tra due altri, b e c, non derivasse senz’altro il suo sussistere tra a e c -, il servirsi di una espressione del tipo: f a=f b, per indicare il fatto che essa si verifichi tra due oggetti a e b, porterebbe alla conseguenza assurda (o, ad ogni modo, incompatibile con una proprietà, fondamentale, del segno di eguaglianza) che, dalle eguagliane: f a=f b, e f b=f c, non si potrebbe dedurre l’altra: f a=f c.
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