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      Un altro esempio ci è fornito da tutto un altro ordine di rapporti, da quelli, cioè, riferentisi al «valore di scambio» delle merci. Mentre infatti gli economisti possono, e devono, determinare e definire esattamente il senso di frasi come le seguenti: «il valore della tal merce è uguale al valore della tale altra», «il valore della tal merce è uguale alla somma dei valori delle tali due altre», ecc., essi non hanno alcun bisogno (e neppure alcuna possibilità, a meno di cadere in tautologie) di definire isolatamente la parola «valore».
      E tale impossibilità non dà luogo, né qui, né negli altri casi analoghi, ad alcun inconveniente o ambiguità; precisamente come nessun inconveniente deriva, nel linguaggio ordinario, dal fatto che noi non siamo in grado di dire che cosa significhino isolatamente le parole «stregua», «solluchero», «iosa», «zonzo», «acchito», «chetichella», «vanvera», ecc., bastandoci del tutto conoscere il significato di tutte le frasi in cui tali parole compaiono, cioè delle frasi «giudicare a una data stregua», «andare in solluchero», «averne a iosa», «andare a zonzo», «di primo acchito», ecc.
      Il frequente impiego che è fatto, nei vari rami della matematica, di locuzioni, o segni di funzione, il cui senso è determinato solo per mezzo di «definizioni per astrazione», viene a confermare ciò che già è stato asserito indietro, quando si assegnò come uno dei tratti caratteristici del linguaggio algebrico, di fronte al linguaggio ordinario, il maggior rilievo e la maggiore importanza che assumono in esso i segni i quali, non avendo, quando siano considerati isolatamente, alcun senso separatamente enunciabile, sono capaci di venire definiti solo in modo implicito, cioè solo coll’indicare il significato di intere espressioni, o formule, in cui il segno da definire compaia associato con altri segni.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483