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      Il riconoscere come affatto legittimo l’impiego di segni o parole, che si trovano in questo caso, e come affatto irragionevole l’esigenza, per essi, di una definizione «esplicita», non è privo d’importanza, teorica o pratica, anche fuori del campo delle scienze matematiche.
      Basta dare uno sguardo alle prime pagine degli usuali libri di testo, o ai manuali elementari di qualsiasi ramo d’insegnamento - dalla grammatica al diritto costituzionale, dalla elettrotecnica alla musica -, per convincersi del grave danno che deriva alla chiarezza e alla intelligibilità (e nello stesso tempo anche alla precisione e al rigore) della esposizione dalla tendenza dei trattatisti a riguardare come unico mezzo, per la determinazione del significato dei termini tecnici, il ricorso alle definizioni propriamente dette.
      Che il procedimento ordinario di definizione - quello cioè secondo il quale, prendendo in considerazione la nozione da definire, isolatamente e indipendentemente dalle frasi nelle quali essa dovrà poi essere adoperata per dire qualche cosa, si mira a decomporla nei suoi elementi, facendola comparire, in certo modo, come il risultato della intersezione di altre nozioni più generali - possa essere, in dati casi, utile e anche necessario, non è da porre in dubbio.
      Ma, anche senza tener conto del fatto che, anche seguendo tale procedimento, si dovrebbe pure arrivare, presto o tardi, a nozioni che non possono essere in tal modo ricondotte ad altre più generali, anche senza tener conto, dico, di questa circostanza, chi espone gli elementi di qualunque scienza non dovrebbe mai trascurare di domandarsi, ogni volta che si tratti d’introdurre un nuovo segno, e di spiegarne il significato, se, tra i due modi, visti sopra, di procedere alla determinazione di questo - tra quello, cioè, che consiste nel darne una definizione propriamente detta, e l’altro invece che consiste nel precisare semplicemente il senso di determinate frasi nelle quali il termine da definire figura -, sia più conveniente il primo o il secondo; se, per esempio, quei concetti (più generali di quello che si vuol definire), ai quali deve essere fatto appello quando si proceda nel primo modo, siano poi veramente più chiari e più facilmente apprendibili, dagli alunni o dai lettori, di quanto non sia il concetto stesso che si vuol definire, e se, ad ogni modo, quest’ultimo non possa essere più facilmente da essi acquistato mediante la diretta osservazione dei fatti e delle relazioni che esso dovrà poi servire ad esprimere.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483