Per una scienza a tipo deduttivo, come è appunto l’algebra, le più importanti congiunzioni sono naturalmente quelle che servono a indicare che, di due date asserzioni, l’una è conseguenza dell’altra.
Al posto delle molteplici particelle, o perifrasi, che sono adoperate a tale scopo nel linguaggio ordinario («dunque», «quindi», «perciò», «donde», «di qui», «per cui», «se», «quando», «in caso che...», «ne deriva», «ne consegue», «ne risulta», ecc.), non si avrebbe bisogno in algebra che di avere a disposizione un solo segno.
Altre congiunzioni assolutamente indispensabili in qualsiasi trattazione algebrica, che non sia una semplice raccolta di formule, sono le seguenti:
1) una per indicare che una proposizione enunciata non è vera (un segno cioè corrispondente al «non» del linguaggio ordinario);
2) altre due, corrispondenti, rispettivamente, all’«e» e all’«o» del linguaggio ordinario, per indicare che due date proposizioni sono simultaneamente vere, o che di esse una, e una sola può essere vera.
L’avere introdotto quattro speciali segni per indicare i suddetti quattro rapporti tra le proposizioni, e l’aver riconosciute le curiose analogie che sussistono tra le proprietà di tali segni e quelle degli altri segni già adoperati in algebra, è merito del Leibniz e dei fondatori della cosiddetta «logica matematica».
Uno dei risultati a cui si è giunti, nella più recente fase di sviluppo di questo nuovo ramo dell’algebra, è stato quello di poter esprimere interamente delle teorie matematiche, col solo impiego di simboli algebrici ed ideografici, senza alcun ricorso all’impiego, anche solo «sussidiario», del linguaggio comune.
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Leibniz
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