Basta accennare, per esempio, a quelle derivanti dalla mancanza in latino dell’articolo.
Il filosofo inglese Th. Reid paragona a questo riguardo giustamente gli scolastici a dei malati che, avendo a propria portata dei prodotti farmaceutici destinati alla cura di malattie affatto diverse da quelle da cui essi erano infetti, credettero di potersene ciò nonostante servire, e aggiunsero così alle proprie malattie altri malanni non meno gravi derivanti da tale imprudente applicazione di rimedi non adatti per essi.
È questa una ragione, da aggiungere alle tante altre, per cui il pensiero filosofico, che è frutto di una data civiltà o di un dato stadio di cultura, non può conservare che in parte la capacità di esercitare l’influenza che gli è propria, in altre civiltà o in altri stadi di cultura.
Quella parte specialmente della filosofia, che ha per oggetto l’analisi e la critica dei concetti e dei criteri fondamentali del sapere e dell’agire, esige di essere, per dir così, ripensata in ogni successiva generazione; in caso contrario essa corre rischio di perdere ogni efficacia, e di riuscire piuttosto di danno che di vantaggio a quelli che ne subiscono passivamente l’influenza.
I processi, che conducono a eliminare le distinzioni che vengono man mano a essere riconosciute superflue o ingiustificabili, non sono meno necessari al sano sviluppo del pensiero scientifico e filosofico di quanto è, per la vita del corpo, l’attività normale e non interrotta degli organi di secrezione.
La resistenza che le associazioni verbali oppongono al rapido effettuarsi di tali processi di eliminazione si manifesta sotto le più diverse forme.
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