Spesso ci avviene, per esempio, di trovarci costretti a formulare le questioni medesime, che ci proponiamo, con frasi che tendono, già per se stesse, e indipendentemente da ogni nostra intenzione, a indurre chi voglia dare ad esse una qualunque risposta ad ammettere già implicitamente come risolte altre questioni che, dalla forma stessa della domanda, vengono in certo modo pregiudicate.
Per designare le questioni di questa specie gli scolastici avevano a disposizione uno speciale termine tecnico, quello di «exponibilia», che essi applicavano a tutte quelle domande alle quali, nelle dispute, si aveva il diritto di rifiutarsi di rispondere con un sì o con un no, per la ragione che tanto il rispondere in un modo come nell’altro equivaleva a concedere un punto essenziale della questione.
Tra gli esempi di tali proposizioni che essi citavano più spesso figuravano quelle in cui si domanda a qualcuno quando ha cominciato o quando finirà di fare qualche cosa. Se per esempio ci si domanda «se abbiamo intenzione di cominciare presto ad agire onestamente», oppure «se è molto tempo che non ci capita di mentire», noi non possiamo rispondere né affermativamente né negativamente senza ammettere, in ciascuno dei due casi, di essere, o di essere stati, disonesti o bugiardi.
Un’altra classe di proposizioni «exponibiles», assai più importante delle precedenti per quanto riguarda il nostro soggetto, è costituita da quelli che si potrebbero chiamare i «dilemmi insussistenti»; da quelle domande cioè colle quali, presentando come un’alternativa la scelta tra due diverse ammissioni, si viene implicitamente ad asserire, o a farsi concedere, che l’accettare per vera l’una di esse equivalga ad asserire la falsità dell’altra.
| |
|