Parimenti si contrappone chi agisce per «istinto» o per «sentimento» a chi è mosso da «ragioni», come se quelle che noi chiamiamo «ragioni» potessero essere qualche cosa di diverso - almeno in quanto ci «muovono» ad agire - da uno speciale insieme di istinti, di desideri, di sentimenti: come, per esempio, il desiderio di non sacrificare al presente il futuro, il timore di doversi più tardi pentire, il bisogno di sapersi padroni di sé e delle proprie azioni, il sentimento di una responsabilità da sostenere, di un dovere, di una missione da compiere, ecc.
È un fatto abbastanza strano che, mentre la maggior parte delle persone che si interessano a questioni di metodo ammettono che, salvo ragioni di convenienza, e salvo l’obbligo della coerenza, ognuno ha diritto di attribuire il senso che vuole ai termini di cui intende far uso - purché lo dichiari espressamente mediante . una definizione -, pochi osservano invece che la parte più importante di questo diritto non è quella che consiste nella libertà di far corrispondere, a dati concetti o a date classi di fatti, certi suoni o segni invece di certi altri, ma piuttosto quella che consiste nella libertà di accettare o non accettare le classificazioni o i concetti che, comunque designati, ci sembrino inopportuni e non adeguati agli scopi che possiamo avere in vista in ciascuna determinata circostanza.
Questa indipendenza di fronte agli ordinamenti e aggruppamenti che si trovano già sanzionati dal linguaggio comune è ben più importante e preziosa, per gli scopi delle discussioni filosofiche e scientifiche, che non la facoltà di sostituire certe parole a certe altre per designare date classi di fatti, o dati concetti, una volta che questi siano stabiliti, o accettati.
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