Ciò sarebbe assurdo».
«Così, quando si tratti della dolcezza o asprezza futura di un determinato vino, l’opinione dell’agricoltore sarà migliore di quella, per esempio, di un musicista; e parimenti il musicista giudicherà meglio di un profano intorno all’effetto armonico o disarmonico che dati suoni produrranno; e il giudizio di un cuoco sarà migliore del giudizio dei convitati quando si tratti di giudicare del piacere che darà la cena che si sta preparando. Del piacere presente o passato non c’è da fare discussione alcuna, ma quando si tratti del piacere che si produrrà o parrà prodursi a ciascuno, allora nasce la questione intorno a chi ne sia il miglior giudice».
L’interesse, che presentano le sopra riferite considerazioni di Socrate, non sta soltanto nella confutazione della dottrina protagorea, ma anche nella parte di verità che esse le riconoscono; non tanto nell’avere salvato la distinzione fra apparenza e realtà, quanto nell’avere riconosciuto che ci sono anche dei fatti i quali a tale distinzione non soggiacciono.
Per ogni nostro atto di pensiero che non contenga od implichi alcun riferimento al futuro, cioè alcuna previsione o aspettazione, il parere di ciascuno di noi non è soggetto ad alcuna contestazione.
Le divergenze o i dispareri intorno alle esperienze che ciascuno di noi prova sono un fatto ultimo che potrà riguardarsi come un dato, ma non mai come un soggetto di controversia.
La questione della verità o falsità può nascere soltanto quando la sensazione o esperienza di cui si tratta ci suggerisca o ci faccia prevedere altre sensazioni, non presenti queste, ma future, non attuali, ma possibili; soltanto cioè quando, e in quanto, alle esperienze o sensazioni immediate si aggiungano o si mescolino delle aspettazioni o previsioni di qualsiasi specie.
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Socrate
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