L’importanza di questo genere di condizioni - intravveduta già da Berkeley, da Hume, da Mill - venne messa in piena luce recentemente da J. Pikler.(128)
Le conclusioni raggiunte da quest’ultimo sono tanto più notevoli in quanto rappresentano un completamento ed una estensione di quelle alle quali i primi tre erano già pervenuti.
Il Pikler osserva che, quando asseriamo, di un dato oggetto, che esso «esiste», o che esso «ha» una determinata proprietà, ciò che asseriamo non è semplicemente la possibilità di date esperienze in date condizioni, ma la ottenibilità di tali esperienze per mezzo di determinate nostre azioni volontarie.
Asserisce, cioè, il Pikler che, quando le condizioni, dalla cui presenza dipende il prodursi di date esperienze, non sono tali da potere, alla loro volta, essere prodotte o provocate da qualche nostro atto volontario, la credenza alla connessione di tali esperienze con le corrispondenti condizioni non prende la forma di una credenza alla «esistenza» di qualche cosa, o al possesso, da parte di questa, di qualche proprietà, sussistente anche quando noi non la percepiamo: resta semplicemente una credenza a una costante successione fra certi fatti e certi altri, o tutt’al più al sussistere tra essi di una relazione di causa ad effetto.
Ogni qualvolta, invece, sappiamo che col provocare volontariamente certi fatti noi possiamo provocare, anzi non possiamo a meno che provocare, certe esperienze, questa nostra credenza tende a prendere la forma di una credenza all’esistenza di «qualche cosa».
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