Ora è evidente che una tale condizione (per quelli almeno che non ammettono la ipotesi dell’«eterno ritorno»), è per se stessa affatto irrealizzabile.
E non meno «irrealizzabili» sono quelle a cui si deve ricorrere nel secondo dei due casi sopra accennati, quelle cioè che si enuncerebbero dicendo: «se io, invece di essere io, fossi quella tal altra persona», ecc.
Da ciò non segue tuttavia che la traduzione anche di questi giudizi in termini di aspettazioni condizionali non rappresenti una analisi del loro significato, precisamente come nel caso dei giudizi precedentemente accennati.
Una tale analisi ha anzi qui tanto maggiore importanza in quanto mette chiaramente in luce uno speciale carattere di questa specie di giudizi, carattere consistente in ciò: che essi non si prestano come gli altri a constatazioni o verificazioni «dirette».
L’unica specie di verificazione di cui essi siano capaci è quella che si potrebbe chiamare «indiretta», quella cioè che consiste nella verificazione di altre affermazioni che da essi si possono dedurre.
In questo processo di deduzione di proposizioni direttamente verificabili da altre che tali non sono, i pragmatisti sono disposti a vedere, non soltanto un mezzo per riconoscere la verità o falsità di tali proposizioni inverificabili, ma anche un mezzo per determinare quale sia il loro significato.
Applicando, anche in questo caso, un criterio analogo a quello che, come si è visto indietro, essi applicano alle proposizioni direttamente verificabili, i pragmatisti tendono a riguardare due proposizioni, direttamente inverificabili, come «equivalenti», od aventi lo stesso significato, quando non si sappia assegnare alcuna asserzione direttamente verificabile che sia deducibile da una di esse senza esserlo anche dall’altra.
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