L’ammettere ora anche solo la possibilità di un automa tanto perfetto da reagire, per qualsiasi stimolo, in modo assolutamente identico a quello con cui reagirebbe un uomo supposto «cosciente», equivale ad ammettere che, tra la supposizione della coscienza e quella dell’automatismo, non sussista alcuna differenza per ciò che riguarda le previsioni che dall’una e dall’altra delle due ipotesi si possono dedurre.
L’applicazione quindi a questo caso del criterio di cui, come si è visto indietro, i pragmatisti vorrebbero servirsi per accertare il sussistere o no di una differenza di significato fra due asserzioni, porterebbe alla paradossale conclusione che, quando noi asseriamo l’esistenza di altri esseri «coscienti» oltre noi stessi, non diciamo niente di diverso di quanto asseriremmo dicendo invece che tali esseri coscienti non esistono, fintantoché almeno con quest’ultima asserzione non intendessimo di negare nessuno di quei particolari modi di comportarsi o di reagire che contraddistinguono quei corpi che ricusiamo di supporre dotati di coscienza.
La difficoltà che qui si presenta apparirà meno grave di quanto sembri a prima vista, quando si tenga conto del fatto che i pragmatisti, nelle loro analisi del significato delle asserzioni in termini di previsione, non pretendono dare una descrizione completa del contenuto di tutte le nostre credenze, ma mirano invece, come si è detto indietro, a mettere in evidenza quella parte di tale contenuto che sola si presta a proficua discussione.
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