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      Ci siamo occupati fin qui più di far constatare l’applicabilità dell’analisi in termini di previsione alle varie specie di asserzioni, che non di segnalare i vantaggi inerenti a tale applicazione.
      Questi vantaggi consistono, come già si è accennato, anzitutto nella possibilità di ottenere dei modi di espressione delle credenze nostre od altrui, atti più di qualunque altro a mettere in luce quali siano le operazioni o le ricerche a cui dovremmo ricorrere per provarle o confutarle; in secondo luogo nella maggior facilità di distinguere, tra le nostre asserzioni, quelle che sono effettivamente capaci di essere provate o confutate, da quelle che si sottraggono a ogni specie di prova o di confutazione propriamente dette, sia perché si riferiscono soltanto a stati di coscienza della cui presenza ciascun individuo è giudice inappellabile, sia perché il loro carattere di asserzione è soltanto apparente, non essendo esse in fondo che delle frasi prive di significato.
     
      Che proposizioni prive di qualunque significato possano sembrare averne, e che sia importante avere a disposizione speciali mezzi per riconoscerle, è cosa che può parere, a prima vista, strana e difficilmente spiegabile.
      Tranne il caso, eccezionale, di persone che abbiano momentaneamente interesse a comparire di dire qualche cosa quando non dicono nulla o non hanno nulla da dire, il linguaggio è adoperato dagli uomini per dare espressione a qualche loro pensiero o sentimento.
      Che ciò però non impedisca a loro di illudersi - e più frequentemente di quanto non paia - di dire qualche cosa anche quando non dicono nulla, sembrerà meno strano quando si pensi che non solamente gli elementi o le parole di cui sono costituiti i nostri discorsi, ma anche un gran numero di frasi e formule che con esse enunciamo, sono da noi adottate e ripetute per semplice effetto di tradizione e imitazione, e che per tal modo locuzioni originariamente dotate di significato continuano spesso ad essere adoperate, e ad aver corso, anche quando, per l’una o l’altra delle ragioni che passeremo ad esaminare, l’abbiano in tutto, o in parte, perduto.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483