Essa ci serve soltanto a rammentarci che, per distinguere fra loro i casi nei quali un corpo si muove variando di velocità e di direzione, e i casi in cui le velocità e le direzioni si conservano costanti, abbiamo a disposizione, tra gli altri mezzi di espressione, anche quello consistente nel dire, nel primo caso che il corpo è «animato» o «sollecitato» da qualche forza, e nel secondo caso invece che esso si muove senza che alcuna forza lo solleciti.
La distinzione tra le due specie di proposizioni a cui si è sopra alluso - tra le proposizioni, cioè, colle quali si asserisce qualche cosa degli oggetti di cui si parla, e le proposizioni invece non indicanti altro che il proposito, da parte di chi le enuncia, di attribuire a date parole un senso piuttosto che un altro - si trova espressa, sotto una forma o un’altra, in ogni trattazione di logica o di teoria della conoscenza.
Le diverse coppie di termini tecnici, adoperate successivamente a tale scopo dai vari filosofi, rispecchiano in modo caratteristico il loro diverso modo di concepire l’importanza o il compito dell’una e dell’altra delle dette due specie di proposizioni.
Aristotele esprime tale distinzione coll’opporre le proposizioni in cui si asserisce «l’essenza», o il, «genere», a quelle nelle quali invece ciò che si afferma è un «accidente», o un «proprio».
Che la classificazione da lui introdotta delle varie specie di «predicabili» fosse diretta appunto a porre in rilievo l’importanza della distinzione fra le due specie di proposizioni di cui parliamo, risulta in modo particolarmente chiaro da quanto egli dice in proposito della sua Topica (lib.
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Topica
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