Ne risulta che alle dette supposizioni fondamentali si può dare, senza inconvenienti, la forma di definizioni, purché si aggiungano ad esse delle asserzioni (postulati), aventi l’ufficio di affermare o di rendere possibile dimostrare che figure, corrispondenti alle definizioni fatte, «esistono» o «sono costruibili». Quando le basi della scienza sono presentate sotto questa forma, qualunque obbiezione si possa sollevare, contro qualsiasi delle proposizioni fondamentali assunte, viene ad apparire non solo come infondata, ma addirittura come assurda.
Se da alcuno, per esempio, venisse espresso il dubbio che la «retta» non goda di tutte le proprietà che le vengono attribuite, definendola, nelle trattazioni ordinarie di geometria, gli potrebbe esser risposto che ciò è impossibile, poiché in tale caso non sarebbe più una «retta»; - colla quale frase non si vuol dire altro in fondo che questo: che essa in tal caso, in quella trattazione, dovrebbe esser chiamata con un altro nome, il che in fondo non è che una questione di nomenclatura.
I geometri greci che adottarono per i primi la forma più rigorosa di esposizione della scienza erano, del resto, perfettamente consci, che, per poter dedurre da semplici definizioni delle conclusioni che non fossero puramente verbali, è necessario assumere, o dimostrare per mezzo di proposizioni già prima assunte, l’esistenza o la costruibilità di figure od enti che soddisfacciano alle condizioni stabilite dalle definizioni.(131)
Così, per esempio, la definizione di «rette parallele» come «rette che, situate in uno stesso piano, non s’incontrano mai» figura nella trattazione di Euclide come subordinata alla proposizione, da lui anteriormente dimostrata, che, se si costruiscono in un piano due rette perpendicolari a una stessa retta (o facenti con essa angoli corrispondenti uguali), esse non si possono incontrare.
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Euclide
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