Lo scopo per cui foggiamo concetti generali è quello di stabilire delle «classi» di oggetti, o in altre parole, di distinguere certi oggetti da altri, dei quali vi sia poi, o vi possa essere, qualche cosa di più o meno importante da affermare o negare, in contrapposto a ciò che si può affermare o negare degli altri.
Foggiando concetti via via più generali, o trasformando concetti più particolari in concetti più generali, noi li rendiamo applicabili ad un maggior numero di oggetti; ma ciò non possiamo fare se non a costo di diminuire il numero dei caratteri espressi dai concetti medesimi, dei caratteri cioè che gli oggetti debbono possedere perché i concetti in questione siano loro applicabili, diminuendo così anche il numero delle affermazioni, importanti o no, che possiamo fare intorno agli oggetti stessi.
Tale processo può andare tanto oltre che un concetto non serva più a distinguere nessuna cosa da nessuna altra; e poiché in questa distinzione sta il vantaggio principale dell’uso dei nostri concetti, il risultato finale sarà di aver reso inutile la corrispondente parola agli scopi cui essa prima serviva, e aver reso necessaria l’introduzione di nuove parole per indicare le stesse distinzioni che prima erano indicate con quella.
Così, per esempio, l’asserire che tutto è illusione o che tutte le nostre azioni sono involontarie non ci esime dal dover poi introdurre come distinzione fra le varie specie di «illusioni», e fra le varie specie di «fatti involontari», le stesse distinzioni che erano prima espresse dai termini: «realtà» ed «apparenza», «volontario» ed «involontario».
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