Pare che la moltitudine che vorrebbe irrompere sia trattenuta dagli alpini. Rizzandomi sulla punta dei piedi vedo, attraverso le teste che si protendono, la scala Porta, piegata verso la coda del cavallo del monumento, come vedo dei ragazzi appollaiati sui gradini di legno per godersi lo spettacolo della piazza popolata di gente e di soldati. Ora ci vedo bene. In fondo, in fondo, rasente gli scalini della cattedrale, c'è una moltitudine di cavalli insellati, con la testa nel fieno in terra e dei pezzi di cannoni, allineati dalla parte del palazzo reale, con le bocche spalancate sul Duomo. Si ricomincia a ridiventare inquieti. Maresti ha bisogno di rompere la diga, passare in Carlo Alberto e andare in via dell'Unione, dove è la sede del partito socialista e la direzione della Lotta di classe. Il non si passa è infrangibile. Io provo gli spasimi. Sono come sugli aghi. Sento un bisogno prepotente di andare in mezzo all'avvenimento. Inutile. I soldati sono torvi. O non rispondono o rispondono con monosillabi che passano le orecchie come colpi di fucile. Il momento diventa grave. Noi che volevamo passare siamo obbligati a trattenere gli audaci che vorrebbero rompere il cordone, anche quando i soldati spaventano col loro indietro.
- Indietro!
Sono le due e mezzo o le due e mezzo circa. C'è ressa e non posso guardare l'orologio. I bersaglieri allineati hanno sempre il fucile col calcio in terra. Ma sono lì sull'attenti, in attesa di un ordine. Ecco il terrore. I soldati hanno come ricevuto un ordine.
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