Si impallidisce, siamo tutti stravolti. Quelli in prima fila si rovesciano sugli altri alla schiena come indemoniati. Fermi tutti! urla Maresti con il suo vocione, credendo di riuscire a sedare il panico e a trattenere compatta la diga. Ma la diga è rotta dalla punta della baionetta. La gente si rovescia per via Orefici e scappa, sparpagliata. Le donne gridano e alcune si rifugiano negli edifici che hanno chiusi i portoni. Non si capisce più niente. Gli uni rincorrono gli altri senza sapere il perché della fuga generale. Io arrivo all'angolo di piazza Mercanti trafelato. Mi pare di aver veduto la morte, di aver udito dei rantoli, di essere passato attraverso un fiat spaventoso. Uomini e donne si voltano indietro biancastri, con gli occhi spiritati dalla corsa e con la bocca che dice e ripete: Che paura, oh che paura, madonna santa! Passato lo stordimento mi risovvengo d'aver veduto, proprio nell'ultimo momento, Bava Beccaris a cavallo, dietro i bersaglieri, che dava ordini all'ufficiale che lo seguiva con un trombettiere a cavallo. Era proprio Bava Beccaris? A me parve lui. La gente puntava col dito e lo additava col nome. A ogni modo era il generale, che stava per iniziare il massacro.
Come avviene sempre nei tumulti, non appena i soldati sono ritornati al loro posto, gli scappati si radunano a poco a poco allo stesso luogo, credendo che l'ordine di andarsene non sia imperativo. Ma l'illusione non dura molto.
- Indietro! Indietro!
Il nostro posto è preso un'altra volta dai soldati con la baionetta piegata verso il sedere delle persone che cercano di distrigarsi dalla ressa.
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