Mi avvio. In via Spadari trovo il delirio. Si capisce che il fuoco è avvenuto in via Torino o che le scariche sono state fatte in quella direzione. Tutta la folla viene verso di noi. Arriva ansante, esterefatta, con esclamazioni che lasciano indovinare il dramma. Qualche donna o qualche uomo sembra impazzito: Gesticola e piange. Intanto che si corre, guardo. La casa tollerata è chiusa. Tutte le porte e non poche finestre sono chiuse, la farmacia Tenca, sull'angolo di via della Rosa, è chiusa. Si sente un'altra fucilata. Qualcuno giunge con la notizia che il popolo si difende, ma nessuno gli crede. Come? Egli non sa rispondere: certo è che la gente continua a venire alla nostra volta come se fosse inseguita. Ho perduto Maresti, ma rivedo il suo cappello nero che torreggia sulla calca. Un altro scompiglio. La moltitudine che viene dalla via Torino non conserva più nulla della dignità umana. L'orgoglio personale è naufragato. Tutti corrono, corrono, corrono e poi si fermano come soffocati, incominciando le parole senza finirle, tirando su il grembiule per asciugarsi gli occhi, mettendo le mani alla fronte con accenti disperati, restando lì istupiditi, insensati, pallidi come la morte, senza riuscire a riaversi. Che cosa avviene? Nessuno parla, nessuno sa spiegarsi, nessuno sa raccontare che cosa sia avvenuto. Parlate, in nome del vostro dio!
- Largo! Largo! Indietro! Indietro! via! via!
E tutti sono ripresi dalla vertigine della corsa e tutti corrono e corrono, andando gli uni sui piedi degli altri, spingendo, sgomitando, rovesciando, passando sui corpi dei caduti senza ascoltare le grida, andando innanzi come tanti ciechi, come tanti pazzi.
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