Tanta prudenza in un parlamentare della montagna mi ha costernato. Dell'altro panico. Chi ha diffuso lo spavento? Si è udito o ci è parso di udire una voce e ci siamo mossi tutti, alla rinfusa a correre. Più di tre quarti della via sono rimasti vuoti. È come se fossimo stati cacciati in fondo da un'irruzione di vento infiammato.
Ci siamo trovati ammucchiati, sudati, tremanti, senza saperne la ragione. Vedo un ferito in piazza della Rosa e seguo coloro che lo portano. Ha una palla nella gamba. Il suo passaggio fa chiudere l'ultima porta che poteva ospitare i fuggenti. È quella dove è il cicchettaio dello scotum. I portatori vanno innanzi col passo cadenzato degli uomini di fatica con un peso enorme sulle braccia. Il ferito soffre, si lamenta e vorrebbe muoversi, ma il dolore lo tiene inchiodato dove si trova. In certi momenti di spasimo la sua faccia dimagrata ha delle contrazioni. Svoltano alla via Ambrosiana e si fermano alla prima porticina senza numero. Picchiano, chiamano, si apre. È l'entrata di fianco dell'osteria sull'angolo con la facciata in piazza della Rosa. Non ho che il tempo di darvi un'occhiata. È una stanza buia con un tinone in un angolo della parete, un tavolo in mezzo e degli uomini in piedi. Il ferito è accolto con gridi soffocati. Faccio per entrare, mi si respinge e l'uscio si chiude. Per un minuto rimango sotto la finestra e ascolto il sussurro delle voci sommesse, spaventate della gente che si è salvata nel retrobottega. La mia memoria funziona male. Non mi ricordo dove ho salutato Maresti.
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Rosa Ambrosiana Rosa Maresti
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