Mi pare che fosse qui con me, perché ho per i timpani la sua voce con gli addii. Ma ora mi ricordo. È svoltato. Lo vedo ancora. Non potendo prendere la direzione della via Unione, si è avviato per S. Sepolcro, ha scantonato, si è trovato in Santa Maria Fulcorina e si è allontanato dal teatro delle operazioni militari perché la vedeva brutta.
Il pensiero mi urta, m'incalza, mi spinge in piazza del Duomo, da dove viene come un silenzio di morte, e m'incammino, rasente il muro, verso le Asole. All'imbocco trovo il genio del momento, un eroe delle perturbazioni sociali, uno di quegli uomini che sprecano la vita in un attimo senza domandarne il prezzo. Pare un personaggio da romanzo. È un uomo di trentacinque anni, forte come un torello. Sulla sua faccia è la determinazione. La sua voce è la voce dell'insorto. È una voce che fa chiudere tutte le finestre, tutte le botteghe, tutte le porte. I passanti hanno paura di lui e ritornano indietro. Egli incomincia buttando la giacca vicino alla panca dei facchini e rimboccandosi le maniche. Si sentono gli echi delle fucilate. Intanto che egli si snuda le braccia va in su e in giù, gridando e supplicando gli abitanti di buttargli giù le masserizie. È un poeta del selciato.
- Buttate giù la mobilia, i materassi, buttate giù tutto per la barricata!
La sua audacia mi sbalordisce. È il primo uomo che si rivolta contro il Magnan delle nostre vie. Pare una sfida ambulante. È lui che inizia il duello col generale che uccide. La sua incoscienza ha del grottesco e del sublime.
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