Il sole sui cadaveri pare un'ingiuria o un insulto atroce. Mette in fuga tutto ciò che è tragico e lascia in terra lo scherno, lo sberleffo, la derisione. Il sole sui cadaveri li spoetizza, porta via loro l'aria funebre, li rende ignobili. I raggi diventano triviali. Ne abbrustoliscono e ne ingialliscono i capelli, ne rendono gli occhi mostruosamente vitrei, si fermano sulle loro bocche stinte o paonazze come una orribile fiammata impotente a scaldarle e a colorirle e danno una chiarezza alla loro pelle inanimata, che rabbrividisce. Il sole d'oggi è crudele. Si diffonde per i loro abiti come una gozzoviglia... Dà risalto a tutto. Agli strappi, alle scuciture, agli occhielli sdrusciti, ai lucidi delle maniche e delle ginocchia, ai bottoni spellati, ai baveri unti e bisunti.
Oh, povera gente! Sono morti, proprio morti, senza speranza di resurrezione. Quanti sono? Ne vedo un mucchio che mi pare un piazzale. Saranno diciotto o venti e la mia fantasia eccitata dal sangue se ne figura un cimitero. Tranne uno o due dei quali non vedo che le scarpe e le braccia, mi sembrano tutti pitocchi, tutti spiantati, tutti poveri. Sono denutriti, sono ditte di miseria, sono problemi sociali stramazzati al suolo come sacchi di cenci. Le loro mani sono documenti. Rivelano i disagi della loro esistenza tribolata. Fra loro è uno scallottato. La superficie cranica è stata dispersa in frantumi. Se ne vedono le fibrille sui due grandi vetri del Giannoni, fin su in alto dove è la ditta e dappertutto. In fondo al cappello cencioso è rimasta una poltiglia sanguinosa piena di peli.
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Giannoni
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