Non dimenticherò mai quello dalla testa scallottata. Il disgraziato era tutto impillaccherato del suo sangue. I capelli alle pareti craniche ne erano incatramati e le guance e il collo ne erano lastricati. Giaceva come un orrore. In quel momento non ho potuto trattenermi in gola la parola concitata. Io ho detto qualche cosa contro i soldati, ho detto che non avrei mai fatto il soldato.
Il ricordo lo fa ricadere nel silenzio. Egli è commosso, agitato. Gli dico che è tutto insanguinato. Ha del sangue e delle cervella sui calzoni, sulla giacca, sul cappello. Se vi prendono così come siete, sarete fucilato. Nascondetevi al primo portone aperto. Egli mi guarda, si accorge finalmente di avere una scheggia di palla nel braccio sinistro e senza darmi retta prende la rincorsa e mi lascia con le persone che ascoltavano la sua narrazione con i pallori della morte. Corre come un disperato e svolta alla prima via trasversale. Io e alcuni altri ritorniamo indietro a vedere il popolo che portava via i feriti e aiutava a caricare i morti sul furgone militare. C'è un uomo in manica di camicia che pare diventato matto. Egli va sotto le finestre a gridare, con le nove dita in alto, il numero dei morti. Sono nove, hanno ammazzato nove persone!
Più tardi. Sono quasi le sei. Il sole sta per scomparire completamente. I fatti della giornata hanno triplicata l'esasperazione cittadina. Corre voce che la questura abbia invasa la redazione dell'Italia del Popolo. Per andare in San Pietro all'Orto dove sono i suoi uffici, faccio un giro che completa la mia stanchezza.
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