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      Udivo un fragore come di tegole che cadevano dall'alto e si frantumavano e degli spari ora simultanei e ora isolati. I colpi isolati mi davano l'idea della caccia all'uomo.
      Mi figuravo i soldati in catena, addossati alle facciate delle case o sotto le entrature dei portoni chiusi con la mano sul grilletto del fucile in posizione di far fuoco. Durante questi intervalli che mi facevano passare attimi spasmodici mi spingevo sul marciapiede e qualche volta dal marciapiede fino a mezzo alla strada, adocchiando da una parte e dall'altra e ritornando di corsa in Valpetrosa, non appena udivo i proiettili che infuriavano per l'aria o mi pareva di sentire sulla faccia la ventata calda di una palla passata via come una saetta. A sinistra, cioè verso la piazza del Duomo, mentre le scariche davano l'idea della guerra civile, avveniva il saccheggio alle vetrine delle botteghe. Erano pochi ladruncoli che le scoperchiavano con le mani o con una spranga di ferro strappata o dischiodata da una delle imposte chiuse col lucchetto. Si sentivano i crack del legname che si schiantava e il frastuono dei vetri che frantumavano con le punte delle imposte o coi pugni nudi addirittura. Nell'aria infuocata della guerra di strada perdevo di vista il ladro, e non vedevo che l'eroe.
      Tutta Milano scappava, si tappava in casa, si nascondeva nei solai, nelle cantine o nelle stanze più lontane e loro, gli inquilini degli abissi più profondi della vita sociale, continuavano a esercitare la loro professione senza neppure darsi pensiero del diavolerio militare.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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