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      Con uno sforzo qualunque dalla terrazza si può salire sul tetto alla portata delle mani, e dal tetto bassissimo è facile saltare sul tetto più alto, correre da una casa all'altra, riparandosi dietro i comignoli tutte le volte che ci fosse bisogno di salvarsi dalle palle micidiali.
      Io sentivo sulla mia testa una moltitudine di piedi pesanti che faceva tremare l'edificio e delle voci confuse che traducevano il subbuglio. Pareva che i corpi si urtassero l'un l'altro per sostenere un peso enorme, un peso di piombo. Su, su, si diceva, sta su, per la madonna! Ma pare che l'uomo che volevano che stesse in piedi, si lasciasse andare su se stesso come morto. Venivano giù tutti assieme ingorgandosi nelle stretture spingendosi per la scala e scambiandosi parole concitate, come se avessero avuto paura di venire colti col documento sulle braccia di esser stati sui tetti. Tanto più si avvicinavano al piano inferiore, quanto più il rumore tumultuoso delle loro scarpe si attutiva e diventava lugubre. Pareva la discesa di gente che andasse al patibolo. Io passavo e riandavo attraverso tutte le sensazioni. Mi figuravo il combattimento per i tetti, cogli insorti gattoni sulle tegole, che strisciavano fino alle grondaie, fin dove è la vertigine e vedevo il materiale di guerra passare di mano in mano, fino agli eroi al margine del precipizio, e vedevo gli eroi rotolare dalla tettoia, con alte strida d'orrore che turbavano l'aria. Vedevo una scena più spaventevole dell'altra. Vedevo i rappresentanti del coraggio popolare che andavano giù al posto dei caduti e tutti gli altri che riprendevano il movimento isocrono di passare da una fila all'altra le tegole nel silenzio e nell'ansia fino a quando quelli al margine precipitavano come i primi o giacevano supini, senza vita, sull'altura pensile, con l'ultimo coppo nella mano che irrigidiva.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302