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      Ciascuno va via per la sua strada, senza voltarsi indietro, senza salutare gli amici. È come se uno sospettasse dell'altro. In ogni persona che passa si fiuta un insorto o un delatore. Le muraglie sono impiastrate di avvisi di tutte le dimensioni. È Bava Beccaris che ingiunge alle masse i suoi ordini, senza punto far sussultare i nervi della popolazione. C'è qualcuno che mormora. Ma gli altri che leggono gli cacciano gli occhi negli occhi come se volessero divorarlo. Nella fraseologia del generale, c'è sempre del padrone che parla al servo e dell'imbecille che dalla scuola militare non ha portato via che la brutalità del mestiere. Egli invita i cittadini a versare le armi da fuoco, come se i fucili, gli spadoni e i fioretti fossero sacchi di noci o bottiglie di liquori, o fiaschi di vino!
      Durante le sommosse popolari l'aristocrazia e la borghesia inglesi vanno direttamente alla sezione di polizia a prestare giuramento e a cingersi i fianchi del conciapopolo, il quale è un randello corto che spacca la testa del rivoltoso al primo colpo. I policemen non sono per le vie e per gli squares dei tumulti soli, abbandonati al disprezzo della folla che mugge contro i nemici dei suoi diritti. Escono dalle caserme con le upper classes, con dei pari, degli ammiragli, dei generali, dei deputati, degli avvocati, dei medici, dei banchieri e col resto dei cani grossi della terrocrazia e della plutocrazia. Le upper classes della paneropoli, si contentano invece di lasciare il loro biglietto di visita alla residenza del generale Bava Beccaris, il quale è, come tutti sanno, nel palazzo del comando militare in via Brera, 15. Un biglietto di visita costa poco e sopprime la noia di un probabile conflitto con le moltitudini.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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