Piazza San Fedele è popolata. Ci sono qua e là dei capannelli che chiacchierano. I gradini del teatro Manzoni e della chiesa in faccia sono gremiti di spettatori. Intorno al monumento discutono parecchi signori dal solino lucido e dalle mani inguantate. Approvano l'energia del generale e dicono che Milano finalmente ha trovato la mano di ferro che le mancava. Ma aggiungono che avrebbe dovuto risparmiare Turati "perché non è mica uno scalmanato che vada in piazza con una palata di parole roventi a rimescolare il fondaccio delle passioni volgari della plebaglia. Egli è un intellettuale con idee che non sono le nostre, ma che si possono discutere".
Si aspetta la solita processione degli arrestati del giorno prima. È uno spettacolo desolante questo di assistere alla sfilata di sessanta o ottanta individui, legati a due a due, circondati dalla cavalleria, dai carabinieri e dagli agenti di pubblica sicurezza, con la bocca della rivoltella che li guarda in bocca. Il pensiero che la distrazione possa farne scattare qualcuna, mi fa sentire il tormento degli aghi nella pelle. Perché fate loro attraversare mezza Milano a piedi, a rischio di trovare qualche esaltato che gridi viva o abbasso qualche nome? Per procombere su loro ed ammazzarli? Mi sento male a pensarci. No, oggi non voglio vederla. Mi bastano quelle di ieri e dell'altro ieri.
Filo per Santa Radegonda e mi fermo rasente il Duomo, cogli occhi verso la piazza. È occupata militarmente e i soldati hanno l'aria di poveracci che non hanno riposato nel proprio letto.
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