All'annuncio che vengono i cannoni, San Pietro all'Orto - ove erano gli uffici dell'Italia del Popolo - perde la testa. Donne e uomini gridano, piangono e si inseguono come invasi dal terrore. Una delle cuoche della casa tollerata si dispera, percuotendo coi pugni la porta che non vuole aprirsi, neppure dopo aver premuto e ripremuto il bottocino del campanello elettrico. La lattaia, a qualche passo di distanza, sviene sul gradino della bottega che stava per chiudere. A mano a mano che i cannoni e le mitragliere si avanzano, la gente infuriata svolta in S. Pietro all'Orto e completa il quadro di una popolazione tribolata dalla guerra civile. Si sentono gli sbatacchiamenti delle ultime porte, delle ultime imposte, delle ultime botteghe aperte. Non si vedono che gambe in fuga.
Il corso è quasi deserto. Passano tre lancieri, l'uno dietro l'altro, a pancia a terra e scompaiono per la via Monforte. Gli artiglieri a cavallo frustano le bestie; e le bestie infuriate divorano la via, e i cannonieri, appoggiati agli affusti, hanno assunto un atteggiamento più bellicoso.
Svoltano a destra sul naviglio. Io torno indietro e imbocco, come i lancieri, la via Monforte, scavata nel mezzo per i lavori di tubazione, fin quasi al ponte di San Damiano. Oltre il ponte la via Monforte non ha che due o tre bottegucce del polentaio, del giornalaio, di un merciaiuolo di cianfrusaglie, eccetera. Il resto è popolato di residenze signorili. A destra, quasi in faccia alla via Conservatorio, è il superbo Palazzo della Prefettura, col suo balcone immenso, sorretto dalle colonne a scanalature.
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