Il loro racconto è sommario, ma rivela una pagina dei tumulti che stanno scrivendo le bocche del cannoni e dei fucili.
Il signor Fumagalli dice che passava dalla via Guicciardini - la prima a destra del corso Concordia, fuori Porta Monforte in una vettura aperta, col procuratore Enrico Pirolli. Essi vennero fatti discendere tra le undici e le undici e un quarto, e condotti al dazio, ove trovarono l'ingegnere Macchi, arrestato un po' prima di loro.
Mentre erano nel casino daziario, il comandante era tutto in faccende a dare le disposizioni dell'attacco imminente. L'ingegnere Macchi, il quale non sembra mica uno scervellato, fece coraggiosamente delle osservazioni; come per convincere l'ufficiale superiore che i rivoltosi, se c'erano, dovevano essere altrove. Lui, personalmente, non ne aveva veduto uno. Le osservazioni dell'ingegnere erano fatte tra un complimento e una scusa perché il momento scottava e perché il comandante, che aveva la sua cavalleria che batteva la campagna, poteva essere in grado di saperne più di un borghese.
Fu così che parecchi di questi signori assistettero alle fucilate fatte contro le persiane di alcune finestre del palazzo a sinistra, quasi di faccia al casino daziario, che lambisce il bastione di Porta Venezia. L'ingegnere Macchi aveva fatto di tutto per assicurare i signori ufficiali che le loro informazioni non potevano essere esatte, perché in quel casone signorile abitavano buonissime famiglie, ch'egli conosceva personalmente. E, dicendolo, dava la sua parola d'onore, che non erano famiglie che si occupassero di dimostrazioni.
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