In mezzo alla pitoccaglia, egli è ancora qualche cosa. A mezzogiorno il buon Cerina diventa una specie di caporale di un pelottone di pezzenti. Separa gli spiantati dalle spiantate, mette in fila gli uni e le altre e lascia prendere a ciascuno di loro una scodella di minestra fumante. "Non faccio per dire ma è minestra di brodo che sente della pestata di lardo. A me piace e piace anche ai miei colleghi".
Il portinaio è frate Daniele. Un uomo alto e ossuto, con gli occhiacci della gente che porta nel petto il male crudele che manda sollecitamente all'altro mondo. È stato parecchi anni al Chilì, ove prese una febbriciattola che lo tormenta ancora. Il suo italiano ha molto del bergamasco. È di una intelligenza più che comune. Non posso mettere in dubbio la sua vocazione religiosa, perché indossa la tonaca da una filata d'anni. Ma non sono sicuro ch'egli sia capace di capire quello che legge, se pure legge. Coi poverelli è di una bontà femminile. Fino a caldaia vuota non nega mai una scodellata di minestra a chi gli riporge la ciotola per saziarsi.
I mangiatori di minestra appartengono ai due sessi. Le donne sono malvestite, stracciate, piene di pezze, coi piedi negli zoccoli che piegano sui sassi. La loro faccia riassume un secolo di patimenti. Talune entrano dinoccolate, coi bimbi sulle braccia, che paiono sacchetti di carne morta, o coi piccini a mano, che strascinano dietro come il bastone gli sfaccendati. I bimbi, abituati ai pasti irregolari e a tutte le sofferenze degli adulti, hanno perso il vezzo di piangere.
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Cerina Daniele Chilì
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